
Meridiano Zero, il cinema documentario incontra la Cooperazione italiana
“C’è ancora molto cammino da fare.” Con queste parole, pronunciate da un portatore pachistano carico di equipaggiamento e provviste in una pietraia del K2, si chiude uno dei documentari presentati alla prima edizione della rassegna Meridiano Zero. Sono stati giorni intensi, dall’11 al 15 ottobre, quelli che hanno visto la sede AICS di Firenzediventare un luogo di proiezioni cinematografiche, ma prima ancora uno spazio aperto dove il pubblico e gli autori si sono incontrati per conoscere storie e situazioni che riguardano i Paesi dove opera la Cooperazione italiana. E quindi, tutti noi.
In fondo, Meridiano Zero chiedeva questo: guardare al mondo in un modo diverso dalle convenzioni, proprio come la carta di Gall-Peters che rappresenta il pianeta in modo da riflettere esattamente le dimensioni dei territori, anziché i profili, o i confini. Questa carta esprime pur sempre un punto di vista, che non può risolvere in maniera assoluta il rompicapo di riprodurre una sfera su un piano, ma che propone una soluzione non meno valida, non meno autentica, di quelle a cui siamo più abituati. E’ un problema che assomiglia molto a quelli della cooperazione internazionale e che, per questo, si presta a ispirare una rassegna di cinema documentario che vuole guardare al mondo, nella sua complessità, da un angolo differente.
Meridiano Zero non nasce nel vuoto, anzi, si inserisce nel quadro più ampio e consolidato del Festival dei Popoli di Firenze, uno degli appuntamenti principali in Europa quando si tratta di cinema del reale. Ed è grazie a questa sinergia che la sede AICS di Firenze ha gettato le basi di un percorso che intende promuovere la conoscenza attraverso il film documentario, ma anche la cultura e la creatività come strumenti potenti di sviluppo, scambio e incontro.
A Firenze sono stati proiettati 16 documentari, di cui quattro al cinema Spazio Alfieri e dodici nell’aula magna della sede AICS. Estremamente vari - come i Paesi nei quali sono stati girati - i soggetti dei film in cartellone: la lotta per difendere l’ambiente dai cambiamenti climatici, che parte da un villaggio in Kenya e arriva alla conferenza COP21 di Parigi (Thank You for the Rain di Julia Dahr); la rivoluzione dell’ottobre 2014 in Burkina Faso, che trova nella musica il motore dell’aggregazione sociale per il cambiamento (A piedi nudi di Christian Carmosino); le esperienze di chi ha un’identità non divisa, ma condivisa tra l’Africa e l’Italia (I meticci d’Eritrea di Giampaolo Montesanto); la campagna di sensibilizzazione sulle migrazioni nei villaggi più remoti del Burkina Faso (CinemArena di José Carlos Alexandre); le speranze, i sogni e l’amore per la propria terra dei bambini che si raccontano alla radio in Mozambico (Tjamparanjani! di Miko Meloni); le piccole, grandi vicende quotidiane di chi vive di pesca in Myanmar (I pescatori del fiume Bogale di Beatrice Palladini); la forza straordinaria dell’acqua, che nelle zone aride dell’Etiopia non è soltanto una risorsa preziosa per alimentare uomini e bestiame, ma anche per regolare la vita sociale, prevenire conflitti e creare cultura (The Well – Voci d’acqua di Riccardo Russo e Paolo Barberi); la resilienza delle donne di Gaza, che non rinunciano a costruire giocattoli in un teatro di guerra semi-permanente (Centro donne Zeina di Ilaria Donato); il dilemma tra la necessità di lavorare e quella di proteggere la salute nelle miniere peruviane (Jardines de Plomo di Alessandro Pugno); la fatica dei portatori sulle pendici del K2, che stanno dietro le quinte degli alpinisti stranieri che conquistano la vetta (K2 and the Invisible Footmen di Iara Lee); l’intraprendenza delle donne del Marocco e della Tunisia che cercano e trovano nell’artigianato una possibilità di crescita e di affermazione personale, non solo economica (Eco de femmes di Carlotta Piccinini); la difficoltà, ma anche la grande ricchezza interiore, delle migranti che lasciano il proprio paese, in Africa o in Asia, per raggiungere il Libano e servire da domestiche (This is not Paradise di Gaia Vianello); la curiosità dei Talibé, i piccoli studenti del Corano, che in Senegal si impegnano in percorsi di educazione non solo religiosa, ma aperta alla scienza e alle discipline secolari (Une autre chance di Andrea Munafò); il dramma delle donne africane che hanno sperimentato le mutilazioni genitali e che si dimostrano capaci di metterle in discussione per liberare le generazioni più giovani, e quelle future, da una tradizione priva di significato religioso (Uncut di Emanuela Zuccalà e Simona Ghizzoni); il recupero della memoria e dell’identità collettiva attraverso il restauro dello straordinario museo archeologico di Beirut (Il museo di Beirut di Clelia Iemma) e, infine, la sete di sopravvivenza e di futuro dei migranti che attraversano il deserto del Niger (Walla, je te jure di Marcello Merletto).
Tanti temi, tanti popoli, tanti luoghi. Ovunque, persone vere che si raccontano e che gettano luce su esperienze autentiche. In mezzo alle situazioni più diverse, forse, un filo rosso che merita di essere ripreso: la cultura che diventa occasione di riscatto e dignità, dal teatro alla musica, dal canto alla poesia.
Gli autori presenti a Firenze hanno arricchito le proiezioni con le proprie testimonianze personali e, spesso, hanno colto l’occasione per conoscere meglio anche il Festival dei Popoli. Con un intento, quello di non perdersi di vista e di raccontare il mondo da prospettive insolite e possibili, come quella di Meridiano Zero, sempre spingendo lo sguardo un po' più in là e cercando nuovi compagni di viaggio. Tra l'altro, già in questa prima edizione la rassegna ha aperto una finestra a Bologna, con la proiezione di due documentari al Terra di Tutti Film Festival.
In attesa delle prossime iniziative, la rassegna continua sul web: grazie all’accordo con numerosi autori, infatti, sarà possibile proporre sul sito AICS una serie di documentari in versione integrale e raggiungere in questo modo un pubblico ancora più ampio, anche nei Paesi che fanno da sfondo alle piccole, grandi storie sullo schermo. Buona visione.
Andrea Merli
(Responsabile comunicazione Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo)